Il pensiero e la formazione di Peter Fonagy

Peter Fonagy è un’analista e supervisore presso la British Psychoanalytical Society, docente di Psicoanalisi contemporanea e Scienze dello sviluppo alla University College London (UCL), Direttore del Dipartimento di ricerca di Psicologia Clinica, Educativa e della salute.

Fonagy nasce a Budapest nel 1952; nel 1967, la sua famiglia lasciò l’Ungheria per trasferirsi a Parigi. Tuttavia, i suoi genitori volevano che ricevesse un’educazione britannica e decisero così di mandarlo da solo a studiare a Londra.

Senza amici o familiari e senza conoscenza dell’inglese, Fonagy attraversò un periodo di depressione a cui seguirono gravi difficoltà accademiche.

Dopo che un vicino gli suggerì di cercare aiuto, entrò in analisi presso la psicoanalista infantile Anne Hurry presso l’Anna Freud Center.

Grazie al suo aiuto, la depressione di Fonagy iniziò a svanire, il suo rendimento scolastico aumentò e, dopo aver terminato la scuola, fu ammesso alla UCL per studiare psicologia.

Fonagy vide questo periodo della sua vita come una svolta, durante la quale scopre quanto possa essere profondamente efficace la psicoanalisi; è stata questa esperienza che lo portò a divenire egli stesso un’analista.

Dopo essersi laureato in Psicologia, Fonagy iniziò un dottorato in Neuroscienze e nel 1980 presentò la domanda presso l’Istituto di Psicoanalisi, iniziando così il suo percorso di specializzazione.

Dopo essersi qualificato come analista, Fonagy completò un altro corso di psicoanalisi infantile presso l’Anna Freud Center.

Nel momento in cui gli conferirono la Freud Memorial Professorship alla UCL nel 1992, la sua variegata esperienza e formazione lo ha portato a seguire un approccio interdisciplinare, che da allora ha plasmato la sua ricerca ed il suo lavoro clinico.

Negli anni ’80, Fonagy lavorava con lo psicoterapeuta infantile George Moran per curare bambini e adolescenti affetti da “diabete fragile”: un tipo di diabete insulino-dipendente in cui il malato non riesce a mantenere il controllo sui livelli di zucchero nel sangue.

È una malattia pericolosa e si stava rivelando molto difficile da trattare. Moran e Fonagy lavorarono quindi insieme per sviluppare un nuovo approccio terapeutico, incentrato sul parlare con i pazienti delle loro vite interiori e dei loro mondi emotivi.

Scoprirono che, usando questo metodo, erano maggiormente in grado di aiutare i bambini a sviluppare maggiori capacità di pensare e regolare i sentimenti.

Questo, a sua volta, li ha portati a gestire meglio la loro malattia ed a compiere significativi progressi fisici ed intellettuali.

In questo periodo, Fonagy iniziò anche a lavorare con pazienti affetti da disturbo borderline di personalità e presto scoprì che un approccio analitico classico non era efficace con questa specifica popolazione clinica.

Nel frattempo, il suo crescente interesse per il lavoro di Melanie Klein e Donald Winnicott, la scuola delle relazioni oggettuali, e la teoria dell’attaccamento, stimolò un cambiamento nel suo quadro concettuale e lo aiutò a sviluppare un diverso modo di pensare al disturbo borderline di personalità.

Questo si è evoluto nella sua teoria della mentalizzazione e, in collaborazione con lo psicoanalista e psichiatra Anthony Bateman, un nuovo metodo di trattamento: il trattamento basato sulla mentalizzazione (Mentalization-Based Treatment, MBT).

Questo metodo è ora ampiamente utilizzato con i pazienti affetti da disturbo borderline di personalità, e Fonagy e Bateman stanno anche sviluppando il modello per trattare pazienti con altri disturbi, tra cui disturbo antisociale di personalità, problemi di abuso di sostanze, disturbi alimentare e madri a rischio suicidio.

Secondo Fonagy, questi gruppi, sebbene per certi aspetti affrontino difficoltà molto diverse, sono tutti caratterizzati da una ridotta capacità di concepire appropriatamente un sé mentale e la sua relazione con il mondo sociale.

Ispirato al pensiero di una vasta gamma di psicoanalisti, Fonagy fu particolarmente ispirato dai Sandler.

Joseph Sandler era un mentore alla UCL, da cui Fonagy aveva appreso molto durante la sua formazione accademica, mentre Anne-Marie Sandler era il suo supervisore durante la formazione in analisi infantile.

I Sandler hanno avuto un impatto duraturo sul suo approccio al lavoro clinico e teorico, oltre ad essere personalmente e professionalmente di supporto nelle prime fasi della sua carriera.

Un’altra fondamentale base teorica del suo lavoro deriva dalla teoria dell’attaccamento, in cui ha trovato una combinazione di rigore empirico e profonda conoscenza dello sviluppo e dei disturbi psicologici.

Questa combinazione è, a sua volta, diventata caratteristica dell’opera di Fonagy, che è esplorativa, innovativa, ma saldamente ancorata alla ricerca empirica e alle prove.

A questo proposito è molto orgoglioso di seguire le orme di Anna Freud e Dorothy Burlingham, che hanno aperto la strada all’approccio psicopatologico dello sviluppo.

Un’ulteriore importante influenza sul lavoro di Fonagy è la teoria kleiniana; questa gli ha fornito una preziosa descrizione della capacità della mente di pensare al mondo e di come questa capacità sia vulnerabile alle richieste emotive.

Il modello della mente di Klein e Bion dimostra che l’interfaccia tra i suoi elementi meccanicistici e rappresentativi è molto più permeabile o fluida di quanto vorremmo credere.

In persone con un disturbo borderline di personalità, questi meccanismi mentali sono ancora più vulnerabili.

Ad esempio, le persone che sono state gravemente maltrattate durante l’infanzia raggiungono l’età adulta con una capacità di pensare danneggiata, il risultato di un’intensa resistenza al pensiero delle menti altrui.

Questa resistenza è di per sé una reazione difensiva all’esperienza profondamente inquietante nel trovare i pensieri ed i sentimenti di altre persone ostili o violenti.

Ciò che in origine protegge la mente dall’insopportabile distruttibilità, alla fine ostacola la capacità di vedere se stessi e le altre persone in modo coerente e chiaro.

Trincerato, poiché questo meccanismo di difesa è all’interno dell’organizzazione mentale di una persona, ostacola lo sviluppo emotivo, danneggia le relazioni e ostacola il pensiero produttivo.

Nel trattare tali disturbi, Fonagy incentra il suo lavoro sull’aiutare i pazienti a ricreare le loro capacità emotive, pensando e sostenendo la riorganizzazione delle loro menti per diventare più aperti e capaci di relazionarsi con gli altri; una forma di aiuto per lo sviluppo come avrebbe pensato Anna Freud.

Fonagy crede che la psicoanalisi possa essere di enorme aiuto nel consentire alle persone di pensare e sentire in modi che altrimenti sarebbero inaccessibili a loro; in altre parole, nell’espandere la loro capacità di mentalizzazione.

Epistemologicamente, la sua ambizione è di mantenere la psicoanalisi in concerto con altre discipline che indagano la mente umana e di cercare di riconciliare le varie esperienze degli esseri umani in un modo singolare di comprensione.

Soprattutto, egli crede che la psicoanalisi debba rimanere in dialogo con ciò che sappiamo della mente da altre discipline, incluse la neuroscienza, la sociologia e l’antropologia.

Dal suo punto di vista, la psicoanalisi è attualmente la migliore psicologia che abbiamo.

 

A cura della Dottoressa Giorgia Lauro