Il più grande contributo alla psicologia di Henri Tajfel è stata la teoria dell’identità sociale.
Con il termine identità sociale si fa riferimento alla percezione individuale di una persona su chi essa sia, basandosi sull’appartenenza ad un gruppo.
Tajfel (1979) propose che i gruppi – ad esempio classe sociale, famiglia, squadra di calcio e via dicendo – a cui le persone appartenevano rappresentavano un importante fonte di orgoglio e autostima.
I gruppi, in tal senso, forniscono un senso di identità sociale, ossia un senso di appartenenza al mondo sociale.
Al fine di aumentare l’immagine di sé, si cerca di migliorare lo status del gruppo a cui si appartiene.
Ad esempio, qualcuno potrebbe ritenere che l’Inghilterra sia il miglior paese del mondo.
Si può quindi aumentare la propria immagine di sé discriminando e pregiudicando il gruppo esterno, ossia il gruppo al quale non apparteniamo.
Ad esempio, affermando che gli americani o i francesi sono un mucchio di perdenti!
Pertanto, il mondo appare diviso in “loro” e “noi”, basandosi su un processo di categorizzazione sociale, attraverso il quale collochiamo le persone in gruppi sociali.
Questo è noto come in-group (noi) e out-group (loro).
La teoria dell’identità sociale afferma che l’in-group discriminerà l’out-group per migliorare la propria immagine di sé.
L’ipotesi centrale della teoria dell’identità sociale è che i membri all’interno di un gruppo cercheranno di trovare aspetti negativi in un gruppo esterno, migliorando così la propria immagine di sé.
La visione pregiudicante tra le diverse culture può ovviamente tramutarsi in razzismo.
Nelle sue forme estreme, il razzismo può portare ad un genocidio, come accaduto in Germania con gli ebrei, in Ruanda tra gli hutu ed i tutsi e, più recentemente, nella ex Jugoslavia tra bosniaci e servi.
Henri Tajfel ha proposto che lo stereotipo, ossia il collocamento delle persone in gruppi e categorie, si basa su un normale processo cognitivo: la tendenza a raggruppare le cose.
Nel fare ciò si tende ad esagerare le differenze tra i gruppi e le somiglianze nello stesso gruppo.
Allo stesso modo, classifichiamo le persone. Vediamo il gruppo a cui apparteniamo (l’in-group) come diverso dagli altri (l’out-group), ed i membri dello stesso gruppo come più simili di loro.
La categorizzazione sociale è una spiegazione degli atteggiamenti di pregiudizio che conduce alla formazione di in-group e out-group.
Per fare degli esempi:
Tajfel e Turner(1979) proposero che esistono tre processi mentali coinvolti nel valutare gli altri come “noi” o “loro”, cioè in-group e out-group.
Questo si svolgono nel seguente ordine: categorizzazione sociale, identificazione sociale e confronto sociale.
Classifichiamo gli oggetti per capirli ed identificarli. In un modo molto simile categorizziamo le persone (incluso noi stessi) per comprendere l’ambiente sociale.
Usiamo categorie sociali come nero, bianco, australiano, cristiano, musulmano, studente, conducente di autobus e così via.
Se possiamo assegnare le persone ad una categoria, allora questo ci dice qualcosa su quelle persone.
In un certo senso non potremmo funzionare in modo normale senza usare queste categorie.
Allo stesso modo, scopriamo cose su noi stessi a partire dalla consapevolezza delle categorie a cui apparteniamo.
Definiamo un comportamento appropriato facendo riferimento alle norme dei gruppi di appartenenza, quando ovviamente si appartiene a quel gruppo.
Un individuo può ovviamente appartenere a molti gruppi diversi.
Nella seconda fase, dell’identificazione sociale, adottiamo l’identità del gruppo a cui ci siamo categorizzati come appartenenti.
Se ad esempio ci si è classificati come studenti, è probabile che adotteremo l’identità di uno studente e inizieremo ad agire nei modi in cui crediamo che gli studenti agiscano, conformandoci alle regole del gruppo.
Ci sarà un significato emotivo per l’identificazione con un gruppo, e l’autostima si legherà automaticamente all’appartenenza al gruppo.
Lo stadio finale è il confronto sociale. Una volta che ci siamo categorizzati come parte di un gruppo e ci siamo identificati con quel gruppo, tendiamo a confrontarlo con altri.
Se vogliamo mantenere la nostra autostima, il nostro gruppo deve confrontarsi favorevolmente con altri gruppi.
Questo è fondamentale per comprendere il pregiudizio, perchè una volta che due gruppi si identificano come rivali, sono costretti a competere affinchè i membri mantengano la loro autostima.
La competizione e l’ostilità tra gruppi non è quindi solo una questione di competizione per le risorse, ma anche il risultato di identità concorrenti.
Volendo concludere, nella teoria dell’identità sociale l’appartenenza al gruppo non è qualcosa di estraneo o superficiale che è attaccato alla persona, bensì una parte reale, vera e vitale della stessa.
A cura della Dottoressa Giorgia Lauro
Bibliografia
Tajfel, H., & Turner, J. C. (1979). An integrative theory of intergroup conflict. The social psychology of intergroup relations?, 33, 47.
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