Il modo migliore per introdurre questo argomento, è parlarvi della “favola” della rana e dello scorpione. Quest’ultimo, incapace di nuotare, trovatosi sulla riva di un fiume, chiese aiuto ad una rana per farsi trasportare dall’altra parte. Questa, potenziale vittima, inizialmente disse subito di no; poco dopo, però, a seguito delle parole dello scorpione in cui esso spiegava che se l’avesse punta durante la traversata sarebbero morti entrambi, trovò il concetto logico ed acconsentì ad aiutarlo. Tutto filò liscio fino a quando, quasi giunti alla fine, lo scorpione punse la rana condannando entrambi a morte. Fu in quel momento che essa, prima di morire e mandare a fondo entrambi, chiese perché lo scorpione avesse agito in quel modo, fu allora che egli rispose semplicemente “è la mia natura”.
Questo concetto, è per spiegarvi che anche gli animali sono dotati di istinto, e che si può apprendere dalle piccole cose, ad esempio quello di nutrirsi di un determinato alimento piuttosto che un altro, quello di evitare l’ingestione di erbe o bacche velenose, oppure quello che ha un mammifero di allattare il proprio cucciolo appena nato.
L’istinto nell’uomo
Ciò che distingue l’istinto dell’uomo da quello animale, invece, è la ragione, poiché, come abbiamo visto qualche articolo fa, essi sono in combutta la maggior parte delle volte. L’istinto, infatti, non è altro che una forza impulsiva che agisce senza necessità di pensiero, in maniera rapida e naturale; la ragione, invece, è ciò che ci porta a meditare su una cosa prima di farla. Per questo motivo, le azioni istintive di chi agisce d’impulso, non sono ben chiare nella mente di chi le compie, poiché spesso si tratta di situazioni inattese, improvvisate, che necessitano un gesto rapido e con l’unico fine di compiere un’azione e raggiungere un obbiettivo senza prima valutarne pro e contro.
Facciamo qualche esempio: un’azione istintiva potrebbe essere quella di provare ad afferrare un vaso in vetro che sta cadendo, per evitare di farlo andare i frantumi; il modo in cui agiremo tempestivamente non sarà riflettuto ed i movimenti che faremo non avranno alcun tipo di progettazione alle spalle. L’unica cosa che in quel momento è certa nella nostra testa, è salvare il vaso dalla caduta rovinosa; e dunque l’obbiettivo. L’assenza di ragione a fondo di quella determinata azione, ci fa mancare del tutto la conoscenza delle conseguenze: se non riuscissimo a prendere il vaso in tempo, ad esempio, rischieremmo seriamente di ferirci le mani con la forza dell’impatto tra queste, il vaso ed il suolo; eppure, nonostante si tratti di un ragionamento logico, la nostra azione è stata così rapida nel tentare di salvare il vaso che l’idea di questa possibile conseguenza non ci ha nemmeno sfiorato.
Il freno dell’istinto
Tuttavia non in tutti i casi l’istinto riesce ad avere la meglio; ci sono volte in cui, nonostante esso si palesi per pochi istanti, è la ragione a predominare. Nel caso in cui si tratti dell’acquisto di un pacco di patatine in più, ad esempio, il freno che la ragione impone rispetto al comando dell’istinto è leggero, poiché le conseguenze non sarebbero chissà quanto gravi. Se si trattasse dell’acquisto di un automobile totalmente fuori dal nostro budget, invece, sarà la ragione a predominare, in quanto si tratta di una scelta importante che necessita un ragionamento fondato.
Per dimostrare il lavoro che la ragione compie sulla soppressione dell’istinto, inoltre, possiamo tirare in ballo gli studi effettuati all’università di York in Inghilterra, in cui si determinò che l’area del cervello che tiene a bada questo genere di impulsi è la corteccia frontale inferiore. Per dimostrarne l’attivazione, inoltre, decisero di condurre un esperimento che metteva alla prova degli studenti davanti ad alcune immagini. Su di esse vi erano delle persone con un’emozione scritta in fronte, ed il loro compito era quello di leggere la scritta a prescindere dalle espressioni facciali delle persone in foto.
Ad esempio, se una persona molto felice in foto aveva la parola “triste” scritta in fronte, il compito della ragione era proprio quello di frenare la persona dal dire “felice”! Fu proprio in questo modo che i docenti, tenendo d’occhio quello che accadeva simultaneamente nel cervello degli alunni, riuscirono a confermare l’elevata attività nella parte frontale inferiore della corteccia in coloro che si sforzavano di eseguire correttamente l’esercizio, ed una bassa in quelli che, invece, davano una risposta che andava in combutta con quanto scritto.